Nocera Superiore: IC “Fresa Pascoli”, auguri natalizi, Scuola vicina a famiglie ed alunni

Nocera Superiore: IC “Fresa Pascoli”, auguri natalizi, Scuola vicina a famiglie ed alunni

In questo periodo di emergenza, si sente il bisogno di far sentire la propria vicinanza alle famiglie: la didattica è centrale in tal senso e nel rispetto del diritto allo studio dei nostri ragazzi ci si adopera per far sì che questo diritto venga garantito anche quando gli spazi sono “inaccessibili”. La scuola sente il bisogno di garantire la vicinanza e il supporto alle famiglie e di mantenere il rapporto umano con l’utenza.
Un appello e un messaggio di affetto e vicinanza a tutti gli alunni, specie a quelli che dovranno sostenere l’esame di stato.
E soprattutto a questi ultimi mi rivolgo: ragazzi, continuate anche a lavorare anche individualmente per potenziare le vostre competenze in vista dell’esame ma non solo! Leggete, esercitatevi, seguite canali tematici di scuola online o in tv  e collaborate facendo sentire la vostra presenza sempre dando anche il vostro forte contributo.
Inoltre, esorto tutti a lanciare proposte per il miglioramento della Didattica, in virtù del ruolo centrale
che voi alunni avete a scuola.
Ringrazio le famiglie che hanno affidato i loro figli a noi: la nostra scuola non è quella a distanza, ma ci adoperiamo in ogni circostanza.

ECCO LE MOTIVAZIONI DIDATTICHE E GLI ASSIOMI EPISTEMOLOFOGICI E
FILOSOFICI:
Il co-teaching – letteralmente co-insegnamento, o insegnamento collaborativo (tra studenti e
insegnanti e tra il gruppo di docenti e gli studenti) – è un approccio didattico di origine finlandese che
propone un tipo di didattica organizzata non in maniera classica (per materie), bensì per argomenti
trasversali alle varie materie (topics).
Tali argomenti vengono affrontati sotto diversi profili disciplinari, complementari, in un’ottica
dunque di interdisciplinarietà e multidisciplinarietà.
Il co-teaching si propone di superare la passività dei discenti, che è un problema spesso tipico delle
classi tradizionali, caratterizzate dal rapporto gerarchico tra studenti e insegnanti. Tale obiettivo vuol
essere raggiunto coinvolgendo attivamente gli alunni su temi specifici – attorno a cui lavorano i
docenti delle varie discipline, insieme.
Il co-teaching sostituisce dunque la classe tradizionale con quella capovolta, al fine di potenziare le
competenze e la creatività degli allievi, migliorando al contempo la performance di apprendimento e
abbassando il tasso di abbandono scolastico.
Flipped Classroom
L’insegnamento capovolto – o classe capovolta (rispettivamente flipped classroom e flipped teaching
in inglese) – rappresentano delle metodologie di nuova concezione che nascono dall’idea di far
entrare gli alunni in classe avendo già conoscenza rispetto agli argomenti da trattare.
Dunque, l’originalità e la novità di tali approcci didattici non stanno propriamente nel metodo di
insegnamento, ma nell’articolazione dei tempi di quest’ultimo e nelle modalità di proporre i contenuti
della materia ai discenti.
Didattica capovolta
Il metodo flipped/capovolto si divide sostanzialmente in due momenti:
1- OUTDOOR: la prima fase avviene all’esterno delle aule scolastiche. Gli studenti, forti dei materiali
didattici forniti dagli insegnanti (soprattutto di tipo multimediale: ebook, video ecc.) si preparano
preventivamente sui contenuti degli argomenti previsti per la lezione.
2- INDOOR: la seconda fase invece avviene in classe, dove gli alunni parteciperanno ad attività
laboratoriali, esercitazioni, approfondimenti e discussioni: l’insegnante infatti non dovrà ricorrere alla
lezione frontale, poiché questa sarà stata sostituita dallo studio preventivo degli alunni nella fase 1.
Approccio bottom-up
In questo modo, la flipped classroom produce un capovolgimento dei ruoli tradizionali tra insegnanti
e studenti: il controllo pedagogico passa dunque a questi ultimi – in un approccio bottom-up
(dall’altro verso il basso) – che si sentono protagonisti della costruzione della propria conoscenza.
La figura dell’insegnante diventa dunque più simile a quella di un tutor, ben lontano dall’idea del
dispensatore di sapere.
Egli fornisce agli studenti la propria assistenza in aula, per far emergere, in maniera maiuetica,
osservazioni significative degli alunni attraverso un metodo pragmatico: esercizi, ricerche,
rielaborazioni condivise e lavori di gruppo.
Apprendimento snello e didattica esperienziale
Così, la didattica capovolta diventa un modello di apprendimento snello e di didattica esperienziale,
poiché gli studenti studiano i materiali di supporto prima di ogni lezione e usano il tempo in classe
per esporre ciò che hanno imparato a casa: presentano i loro dubbi e le loro scoperte, che diventano
la base per discussioni, critiche e brainstorming tra professori e studenti.
L’apprendimento esperienziale (experiential Learning) costituisce un modello di apprendimento
basato sull’esperienza, sia essa cognitiva, emotiva o sensoriale.
Il processo di apprendimento si realizza attraverso l’azione e la sperimentazione di situazioni,
compiti, ruoli in cui il discente, attivo protagonista, si trova a mettere in campo le proprie risorse e
competenze per l’elaborazione e/o la riorganizzazione di teorie e concetti volti al raggiungimento di
un obiettivo.
L’apprendimento esperienziale consente inoltre agli alunni, dal punto di vista della maturazione
personale, di affrontare situazioni di incertezza sviluppando comportamenti adattivi e migliorando,
nel contempo, la capacità di gestire la propria emotività nei momenti di maggiore stress psicologico.
Il perchè della sperimentazione PROGETTO DI CITTADINANZA: SCUOLA-FAMIGLIAALUNNO per un‘ALLEANZA SCUOLA/FAMIGLIA: AZIONI DA FAVORIRE PER IL
SUCCESSO FORMATIVO DELL’ALUNNO
Tutti gli attori e protagonisti coinvolti nel processo formativo devono impegnarsi a sviluppare un
atteggiamento sereno, positivo e propositivo nei confronti della scuola teso a superare pregiudizi e il
disinteresse nei confronti di questa istituzione. Perché si costituisca un’alleanza formativa tra Scuola
e Famiglia occorre che le due agenzie educative siano collaborative e non antagoniste, nel rispetto
del proprio ruolo. È necessario quindi che la scuola si attivi con genitori e alunni in una serie
d’iniziative che realizzino il passaggio dal semplice “star bene” all’“operare e vincere insieme” in
una progressione dei livelli di partecipazione, di coordinamento degli sforzi e di cooperazione. In
questo modo si può favorire il successo formativo dell’alunno.
“L’educazione consiste nell’incoraggiare lo sviluppo più completo possibile delle attitudini di ogni
persona, sia come individuo sia come membro di una società ispirata dalla solidarietà. L’educazione
è inseparabile dall’evoluzione sociale: essa è una delle forze che la determinano” (International
League For New Education) .
La scuola agli occhi dei ragazzi è anche e soprattutto un ambiente in cui crescere, socializzare,
imparare a “stare al mondo”. Anche gli addetti ai lavori hanno altrettanta chiarezza e consapevolezza
o, forse, ancora rimane difficile coniugare didattica ed educazione, apprendimento di strumentalità,
abilità e sviluppo di competenze fondamentali? La distinzione tra programmazione didattica e
programmazione educativa ormai ha solo l’intento di rendere chiari gli obiettivi, non certo di
distinguere percorsi che sono chiaramente intrecciati e sempre compresenti.
La programmazione educativa definisce gli obiettivi che riguardano lo sviluppo della persona e che
sono, pertanto, transdisciplinari (relazioni interpersonali, autostima, metacognizione, affettività). La
programmazione didattica, rappresenta il collegamento tra tutto questo e gli obiettivi, i contenuti, gli
strumenti caratterizzanti ogni disciplina. È una sorta di “traduzione”, da parte dell’insegnante, delle
finalità educative da applicare nella vita della classe; in questo modo le discipline divengono
strumenti di conoscenza e di apprendimento in ogni senso, promuovono lo sviluppo di abilità e
conoscenze, ma anche lo sviluppo di competenze cognitive, socio-affettive e comportamentali.
Perché questo avvenga, servono tante cose, ma l’aspetto fondamentale è sicuramente il “benessere”,
inteso in tutte le sue declinazioni: il benessere relativo l’ambiente, il benessere per gli alunni, il
benessere nelle relazioni scuola-famiglia, ma anche per gli insegnanti e per tutto il personale
scolastico.
Nuovi contesti, nuovi bisogni.
La famiglia è un sistema che vive in un costante cambiamento per i diversi eventi critici che si trova
ad affrontare e talvolta incontra alcune difficoltà a rispettare i necessari compiti di sviluppo. In questi
casi, i bisogni dei figli non ricevono le risposte adeguate per l’età e le caratteristiche personali. Il
momento storico che stiamo vivendo è inoltre caratterizzato da cambiamenti significativi: aumentano
le separazioni e i divorzi e con essi le famiglie ricomposte; i ruoli familiari sono in costante
trasformazione e la famiglia ha assunto forme nuove. La scuola si trova ad affrontare molte difficoltà:
le classi sono troppo numerose, il precariato dei docenti e del personale in genere crea incertezza e
tensione, il tempo a scuola è ridotto, mancano ore di compresenza, che sarebbero indispensabili per
portare avanti attività di potenziamento delle competenze, mancano fondi per cui si assiste a una
riduzione sia dei progetti sia dell’acquisto di materiali utili. Sia a scuola, sia in famiglia, i bambini e
i ragazzi possono percepire quindi un clima di tensione e di nervosismo, che ostacola il senso del
piacere nel vivere la quotidianità. In modo particolare la mancanza di tempo a disposizione toglie
molto all’organizzazione delle esperienze e alla relazione e tende a far prevalere un’attenzione sui
prodotti, sui risultati, sulla mera esecuzione delle attività, anziché sui processi, sulle fasi esecutive,
sui metodi. Lo zaino dei bambini in procinto di iniziare l’avventura scolastica contiene i materiali
necessari, ma è gonfio anche di stili relazionali, di modelli, di atteggiamenti appresi in famiglia.
Contiene inoltre le attese, i desideri, le curiosità, i bisogni, le competenze fino a quel momento
apprese, le esperienze vissute nei precedenti contesti educativi.
Difficoltà di apprendimento
Le aule scolastiche sono popolate da alunni tutti differenti, ognuno con le proprie difficoltà e le
proprie risorse. Ma che succede a quel ragazzo che impara con maggiore fatica rispetto al resto della
classe? Egli si trova a far parte di un contesto nel quale vengono proposte attività per lui troppo
complesse, ma non può fare a meno di notare che la maggior parte dei compagni si inserisce con
serenità nelle proposte didattiche e ottiene buoni risultati.. Il disagio rimbalza dal bambino alla
famiglia e viceversa, in un intreccio di emozioni, frustrazioni, delusioni. Per la maggior parte dei
genitori la scuola è importante, è al primo posto nella vita dei bambini e dei ragazzi, tutto il resto
viene dopo…Che succede se la scuola va a rotoli? Il team docente Un altro aspetto fondamentale da
prendere in considerazione è la coerenza educativa che riguarda gli accordi all’interno del team.
Quest’ultimo, per poter davvero offrire basi solide educative e relazionali dovrebbe offrire una
compattezza di intenti, una condivisione di obiettivi non solo sulla carta, ma soprattutto attraverso
atteggiamenti e comportamenti idonei. La solidarietà e coesione nel gruppo di lavoro è garanzia di
legami sicuri, all’interno dei quali gli alunni possono sentirsi davvero accolti. Già in famiglia essi
sperimentano con una certa frequenza il disaccordo e livelli discordanti di comunicazione e di
intenzionalità; se ciò si ripete anche all’interno della scuola i bambini e i ragazzi si disorientano e
perdono fiducia nelle figure adulte di riferimento. Per questo e per altro ancora è indispensabile che
il team docente sia capace di pianificare riunioni efficaci, superando inutili formalità, ripensando a
un modo creativo di stabilire la relazione, esplicitando bisogni e obiettivi condivisi e raggiungibili.
All’interno del team si formano normalmente conflitti, per il semplice fatto che in esso sono presenti
individualità diverse, persone con caratteristiche e stili relazionali differenti. Non accogliere il
conflitto significa tenerlo sotto la cenere, alimentarlo senza però affrontarne i contenuti. Anche di
fronte agli alunni in difficoltà i docenti del team hanno frequentemente pareri discordanti. Chi
descrive le caratteristiche dei soggetti analizzandole minuziosamente, chi afferma che, all’interno
delle proprie ore di lezione, non si manifestano particolari problemi, chi sostiene l’estrema difficoltà
nel portare avanti le attività didattiche e via dicendo. L’immagine discordante viene rimandata anche
durante i colloqui con i genitori, provocando ulteriore smarrimento e ostacolando la ricerca di una
conoscenza più approfondita sulle cause delle difficoltà. Insegnanti e genitori Scuola e famiglia sono
contesti con finalità educative diverse e non devono essere confusi, ma la collaborazione, lo scambio,
il rispetto reciproco dei ruoli differenti, rendono il “tragitto” da casa a scuola più sereno e meno
tortuoso. Oltre agli incontri con i gruppi di genitori, sono di fondamentale importanza i colloqui
individuali, per scambiarsi conoscenze, per accordarsi sulle finalità da perseguire per giungere
insieme a una descrizione non solo delle difficoltà, ma anche delle risorse del bambino. La relazione
scuola famiglia deve accompagnare il percorso dei bambini fin dal loro primo ingresso, attraverso
incontri con i genitori, per una reciproca conoscenza, per comunicare le linee essenziali del
programma, per condividere gli obiettivi educativi e promuovere comportamenti positivi. Tutto
questo nel rispetto delle differenze, evitando confusione di ruoli. La chiarezza sulle differenze serve
a evitare pericolose intromissioni e ingerenze reciproche. Genitori e insegnanti sono, in definitiva,
partner di un progetto che ha come meta il benessere psicologico dei figli/alunni, all’interno del quale
ciascuno deve fare la propria parte. Certo è che, talvolta, anche i docenti molto preparati sul piano
didattico, avrebbero bisogno di una formazione relazionale che faciliti loro il rapporto con gli alunni
e con i genitori, ma anche la comunicazione e la collaborazione all’interno del team. Una scuola
“Pulita” Con questa semplice espressione possiamo sintetizzare quello che dovrebbe essere
l’impegno della scuola e l’immagine che essa dovrebbe mostrare al di là delle apparenze. Una scuola
pulita da un punto di vista prettamente “fisico”, curata, accogliente, “calda”, al di là della bellezza, al
di là della ricchezza dei materiali; una scuola che non odori di polvere, ma che infonda rispetto per
l’ambiente, che non sia ferita dall’incuria, ma che lasci trasparire il senso di responsabilità. Pulita
perché trasparente nei propri intenti, con obiettivi educativi condivisi, con atteggiamenti adulti
rispettosi dei ritmi e degli stili di apprendimento; una scuola che dà spazio all’ascolto, che è disposta
a imparare, che sa stare in relazione con la famiglia e con il territorio di appartenenza, una scuola che
cresce al passo con il mondo, mantenendo vivo il legame con la storia, con la cultura. Se le
amministrazioni non possono permettersi spese ingenti per realizzare progetti di elevate pretese,
meglio che si accontentino di strutture funzionali, alla portata dei bambini e dei ragazzi, perseguendo
intenti di integrazione e di coscienza civica. Per poter aiutare gli alunni a rispettare le regole è, prima
di tutto, necessario che siano gli adulti di riferimento a farlo. Non possiamo chiedere di rispettare un
ambiente in degrado, di tenere pulito ciò che è sporco, di aver cura di spazi esterni pieni di erba
ingiallita. La scuola, insieme alla famiglia, ha il compito di trasmettere valori, di guidare verso la
conquista delle più importanti regole di convivenza, ma su questi aspetti c’è ancora tanta strada da
fare. L’impegno della scuola nei confronti della famiglia Offrire un ambiente accogliente occupa il
primo posto; i bambini devono sentirsi ospiti graditi, percependo atteggiamenti affettivamente
significativi da parte di tutti gli adulti che circolano tra quelle mura. La scuola deve offrire occasioni
di apprendimento, ma anche momenti di conoscenza dell’ambiente, di apertura e di coinvolgimento.
La programmazione didattica è inserita in un contesto educativo generale, che ha il compito di
promuovere il dialogo costruttivo, dialogo che ha connotazioni di apertura, che non trascura l’ascolto,
la condivisione, la ricerca di soluzioni. La programmazione educativa deve essere socializzata ai
genitori, per far sì che anch’essi abbiano chiari gli obiettivi e le regole da rispettare, facilitando così
il raggiungimento di un punto d’incontro favorevole alla crescita degli alunni e creando quel raccordo
e quella comunione di intenti che permette loro di sentirsi sostenuti nei processi di sviluppo. A questo
proposito sono indispensabili momenti di scambio, iniziative collettive, assemblee di classe, colloqui
individuali. Questi ultimi hanno l’obiettivo di comunicare ai genitori il percorso educativo e didattico
del proprio figlio, esplicitando gli ambiti di difficoltà, di competenza e di potenzialità individuati. Il
genitore deve avere la certezza che i docenti conoscono gli alunni, che sono capaci di osservare e di
individuare i loro stili cognitivi, che sono in grado di individuare le loro risorse, al di là del giudizio,
al di là del voto.
L’impegno della famiglia nei confronti della scuola.
La famiglia, d’altro canto, ha il compito di partecipare alla vita scolastica, condividendo gli obiettivi
educativi di sua competenza, offrendo collaborazione, mantenendo il proprio ruolo, senza porsi in
competizione, evitando di svalorizzare l’operato degli insegnanti, tenendo in mente che il compito
educativo dei genitori è diverso da quello dei docenti e che il buon esito di un percorso di crescita sta
proprio in un Patto Educativo di Corresponsabilità, cioè in un accordo, implicito ed esplicito, che si
pone in atto con pensieri condivisi, con atteggiamenti e azioni chiare nei quali i bambini e i ragazzi
possano trovare riferimenti sicuri. Il pensiero torna, a questo proposito, alle regole educative, cioè a
quei punti di riferimento di indiscutibile valore, che, più che sotto forma di imposizioni, dovrebbero
essere vissute come conquiste, come traguardi e autogratificazioni. Il Patto Educativo di
Corresponsabilità Scuola e famiglia insieme, nel pieno rispetto dei diversi ruoli, dovrebbero
condividere compiti educativi non solo sulla carta, per permettere la conquista graduale, da parte dei
bambini e dei ragazzi, di competenze socioaffettive e relazionali, che riguardano l’espressione dei
propri bisogni e delle proprie opinioni, la consapevolezza dei propri punti di forza e dei punti di
debolezza, il riconoscimento e la gestione delle proprie emozioni, il saper sostenere momenti di
sconfitta e di frustrazione, il saper gestire il tempo e lo spazio nel rispetto del singolo, della collettività,
dell’ambiente. L’accoglienza della differenza come possibilità e come ricchezza va nella direzione di
un processo di integrazione più sereno, in cui c’è spazio per chi procede a ritmo superveloce e per chi
va a passo di lumaca, per chi fa più fatica e per chi è instancabile, per chi è dislessico e per chi ha
necessità di ausili personalizzati. Dare importanza all’affettività e alle relazioni facilita i processi di
apprendimento; tutti noi impariamo con più agio se il clima intorno a noi è sereno, se ci sentiamo
accolti, se ci divertiamo, se ci scambiamo piccoli aiuti, se ci viene consentito l’uso delle nostre aree
di risorsa. È su questo che scuola e famiglia, oggi più che mai, devono darsi la mano, riconoscendosi
a vicenda le responsabilità e le soddisfazioni, approntando una forma di comunicazione “utile” ed
efficace. La scuola, sappiamo bene, ha compiti pedagogici, svolge cioè un’azione che dovrebbe
tendere allo sviluppo delle potenzialità dei bambini; gli insegnanti possono offrire agli operatori dei
servizi un quadro ampio e dettagliato delle problematiche, ma anche delle aree di risorsa dei propri
alunni. Gli operatori dei servizi, d’altro canto, offrono ai docenti una visione clinica della situazione
individuale; con l’apporto degli uni e degli altri si giunge così a una conoscenza completa,
approfondita, funzionale. Il progetto educativo si svolge così con una pluralità di competenze, che
dovrebbero lavorare in rete, con l’obiettivo di individuare le peculiarità del soggetto, ma anche di
sostenere quest’ultimo nella conquista del proprio benessere psicologico, che si traduce nel benessere
del gruppo. Il rispetto dei tempi e lo sviluppo dell’autonomia Lo sviluppo dell’autonomia è un
processo graduale e richiede il sostegno degli adulti, che non devono sostituirsi ai bambini, bensì
aiutarli a scoprire il piacere di apprendere, di imparare a gestire da soli la quotidianità. Autonomia
come capacità di riconoscere le proprie competenze, le proprie difficoltà, i propri bisogni, di chiedere
aiuto quando serve, di sentirsi orgogliosi delle piccole conquiste.
Gli alunni vengono posti di fronte e proposte graduali riferibili alla fascia di età, ma non dobbiamo
dimenticare che ogni individuo ha propri stili cognitivi, si porta dietro un apprendimento pregresso,
appartiene a un mondo affettivo e relazionale che è solo suo. Ogni percorso ha proprie caratteristiche
e di queste dobbiamo tenere di conto. Le differenze devono essere viste come elementi
personalizzanti, come risorse più che come ostacoli; ogni bambino ha un proprio “metodo” di lettura
delle esperienze e, se gli adulti riescono a imparare quel metodo, tutto diventa più facile. Ci sono
alunni che apprendono a velocità incredibile, che padroneggiano con facilità i contenuti, che
perseguono senza alcun problema gli obiettivi prefissati per l’età; altri invece sembrano aver paura di
tutto ciò che è nuovo, hanno bisogno di più tempo, di maggiore vicinanza, mentre altri ancora
appaiono demotivati, predisposti ad altro, oppure si mostrano insicuri, ansiosi, timorosi di non essere
all’altezza delle richieste. Ci sono poi alunni che sembrano avere tutte le carte in regole per
apprendere con facilità, ma che, invece, fanno una fatica incredibile ad automatizzare le tecniche di
calcolo, di lettura, di scrittura. Lo sviluppo dell’autonomia cambia notevolmente e, altrettanto, devono
cambiare le richieste degli adulti; esse devono essere calibrate e riferirsi sempre alla zona di sviluppo
prossimale, che indica ciò che il bambino può iniziare ad apprendere e a eseguire se riceve l’aiuto
giusto. La scuola degli errori La sfida è grande, gli attori che ruotano intorno alla scuola sono molti e
i protagonisti rimangono sempre i bambini, con i loro bisogni e desideri. La classe non può essere
soltanto un luogo in cui si producono strumenti, si esercitano tecniche, si allenano strategie; essa è e
deve rimanere luogo di incontro, di piacere per la conoscenza, di cultura, di condivisione di
esperienze. La scuola, in definitiva, è un laboratorio per sperimentare, conoscere, crescere. Crediamo
in una scuola che sappia coniugare innovazione e tradizione, grazie al contributo di tutti coloro che
vi abitano o che contribuiscono alla sua costante e indispensabile opera di “manutenzione”. Gli
insegnanti in primis, ma anche i dirigenti, i collaboratori che si occupano di mantenere l’ambiente
accogliente e pulito, gli psicologi, i pedagogisti, gli educatori e, non ultimi, i genitori. La scuola ha
bisogno di conquistare il proprio valore e la fiducia che merita da parte dei cittadini. La scuola è come
una barca a vela, in cui ognuno ha il proprio ruolo e in cui tutti concorrono all’esplorazione di rotte
percorribili nuove o già conosciute. Uno degli aspetti fondamentali del contesto scolastico riguarda
l’importanza delle risorse personali dei bambini e dei ragazzi, della gratificazione da parte dell’adulto,
della valorizzazione delle competenze. Ma un’ultima riflessione vorremmo farla rispetto alla
considerazione dell’errore e al suo valore positivo nell’apprendimento. Viviamo un momento storicosociale in cui l’errore produce smarrimento, senso di impotenza o forse anche una sorta di
“disperazione” (“Paolo oggi ha fatto più di venti errori nel testo! Che disastro!”). I genitori accolgono
con difficoltà i possibili errori dei figli, magari per un proprio vissuto di inadeguatezza, e fanno il
possibile per anticipare le risposte e per semplificare le richieste; anche gli insegnanti usano, in un
diverso contesto, strategie simili e riducono il compito a uno scheletro che distanzia la partecipazione.
Le conseguenze di tutto questo nei bambini e nei ragazzi sono un’eccessiva vulnerabilità alla minima
frustrazione, la difficoltà a riconoscere che si è sbagliato qualcosa, la perdita del desiderio di
riprovarci, di rimediare, di avere un’altra opportunità. Ci piace concludere con due citazioni: una è
rubata a a un bambino di nome Lorenzo, l’altra a Gianni Rodari. Spetta al lettore l’assegnazione di
ogni frase all’autore giusto. “La scuola è dove s’impara e se si sbaglia non importa, la seconda volta
la fai bene.” “Gli errori sono necessari, utili come il pane e spesso anche belli: per esempio la torre di
Pisa.”
Il DS
Prof. Michele Cirino