Personaggi africani: cacciatore
Padre Oliviero Ferro
Non li ho mai conosciuti bene coloro che andavano a caccia, però c’era sempre qualcuno che mi raccontava cosa facevano. Spesso andavano nella foresta, insieme al cane. Chi aveva delle frecce, chi un’arma da fuoco e chi qualche coltellaccio. L’importante era riuscire a prendere qualcosa. Naturalmente erano persone che conoscevano le tecniche di caccia e sapevano dove andare e cosa cacciare. Spesso era la selvaggina: antilopi, altri invece prediligevano gli uccelli, altri ancora i piccoli animali (topi compresi). In Africa, si dice che “tutto quello che si muove,, è buono da mangiare”. Qualcuno invece si dava alla caccia grossa, ma bisognava avere delle armi potenti e queste le possedevano solo i militari. Si cacciavano gli ippopotami (avevano la pelle dura e ci volevano delle pallottole che potessero perforare), più all’interno anche gli elefanti (anche se molti non c’erano più, perché la foresta era stata disboscata per fare il carbone di legna). Anche il coccodrillo, quando cadeva nelle reti dei pescatori (ed è la prima foto fatta all’inizio del 1984), era il “benvenuto” tra le prede. Insomma, bisognava andare a caccia per portare da mangiare a casa. Certo, c’era anche il rischio (come nella caccia qui in Europa) di qualche incidente (la selvaggina non era d’accordo di farsi prendere e si ribellava contro il cacciatore; errori di mira nello sparare o lanciare le frecce…). Ciò che era stato cacciato, veniva poi portato al mercato (anche le scimmie; i grossi lucertoloni kenge che prediligevano le uova). Insomma ognuno cercava di sviluppare i talenti ricevuti, gli insegnamenti che si tramandavano nel tempo. Tutto era utile per continuare a vivere e per far vivere la propria famiglia.