Chi non fa errori
Giulio Caso
In estate si legge di più, ma si scrive anche di più.
Anche dopo tanti anni che si scrive, bisogna controllare le parole dubbie. Magari sono scritte bene, magari sono scritte male, insomma bisogna controllare sempre su un buon vocabolario oppure su google.
Questo passaggio si fa, più che altro, per eliminare l’insicurezza.
Probabilmente una volta è venuto un dubbio che poi si ripropone ogni volta che si scrive quella frase, quella parola.
Ovviamente è utile un controllo di come si scrivono le parole in altre lingue, ma questa è giusta e colta pignoleria.
Magari non fatelo subito, non mentre scrivete perchè svanirebbe dalla mente la meta da raggiungere, il concetto guida e la strada da percorrere. Quindi scrivete, rileggete e poi controllate le parole sulle quali avete dubbi.
Questo controllo, però, è anche una forma di correttezza verso i lettori. L’invito, pertanto, è rivolto, prima di tutto a noi stessi e poi a tutti quanti. Controllate i vostri scritti, ne guadagnerete in prestigio e serenità. Errori di distrazione, errori elementari etc.
Si tenga presente che, comunque possono capitare errori e, quindi, rimanere nel testo.
Una volta c’erano persone che avevano proprio il compito di eliminare i refusi dai giornali.
Un fatterello ad hoc:
-Quando pubblicai la prima antologia Terra del Vesuvio, dedicai molta attenzione proprio ad eliminare, possibili errori, già nella premessa. Alla fine diedi l’ok al tipografo per la prima stampa, confermando con orgoglio di aver controllato tutto e bene. Lui scettico rispose che gli errori erano come i diavoletti, si nascondevano ovunque e, quasi sempre, si ritrovavano in prima pagina o addirittura in copertina. Sorrisi, anche perchè avevo veramente controllato con attenzione e promisi un caffè a tutti se non fosse risultato corretto il testo.
Uscì qualche stampa e andammo a guardarla … .
Un grosso errore proprio in copertina.
Avevo fatto cambiare tipo di scrittura ed un numero romano era divenuto illegibile, praticamente un’altra cosa.
Ripartimmo dopo un ottimo caffè che offrii volentieri.
Diceva una canzone “Bisogna saper perdere”.