VERBI SWAHILI: KUSHTAKI accusare
Padre Oliviero Ferro
Questo è qualcosa che ho sempre fatto fatica a capire. Mi trovavo a Luvungi (Congo) e viene una persona perché vuole parlare con me. “padiri, walifunga mtoto wangu mu cachot ya gendarmerie (padre, hanno chiuso mio figlio nel carcere della gendarmeria)”. “Sabatu gani?(perché?)” chiedo. “Walimsthtaki yak ama aliiba mbuzi ya voisin yake (l’hanno accusato di aver rubato la capra del vicino)”. E mi racconta come sono andate le cose. Sembra che sia arrivata una lettera anonima alla gendarmeria in cui era scritto che un vicino era stato derubato dal figlio della signora. Naturalmente, essendo una lettera anonima, non era firmata. E così si mette in movimento la macchina della giustizia…per prima cosa arrivano a casa dell’indagato tre militari che gli fanno sapere che è stato accusato di furto. Lui chiede da chi, ma nessuna risposta. Gli danno un sacco di legnate, poi lo obbligano “a pagare le scarpe” che hanno fatto la strada per andare da lui e quindi viene tradotto in carcere, senza possibilità di altre domande. Il carcere della gendarmeria era una casa con uno stanzone e i detenuti erano buttati dentro. Durante il giorno uscivano per prendere aria, ma la notte rientravano. Mangiare? Teoricamente il direttore della prigione riceveva qualcosa per farli mangiare, ma spesso se ne serviva per la sua famiglia. Allora, come parrocchia, abbiamo deciso di “andare a visitare i carcerati” (opera di misericordia corporale) e quindi di portare qualcosa a questa povera gente. Spesso bisognava contrattare con il direttore, perché voleva la sua percentuale (anche perché il salario arrivava, quando i superiori si ricordavano, naturalmente decurtato a loro favore). Qualche volta alzavo la voce e allora il direttore, che mi conosceva, rinunciava alla sua parte, ma non sempre. E sull’accusa, naturalmente, bisognava avere un buon avvocato (che non lavorava gratis) e il tempo passava. Dopo un po’, se niente si muoveva (solo i ricchi potevano permettersi di pagare l’avvocato) veniva portato alla prigione provinciale. E là cominciava l’inferno. Le celle erano sovraffollate, c’erano i detenuti più violenti che comandavano e…il resto ve lo lascio immaginare. In più i detenuti avevano, o le catene oppure del ferro saldato intorno alle caviglie. E ogni giorno qualcuno ci lasciava la vita. Anche lì i cristiani, guidati da qualche suora, andavano a fare apostolato. Ma le autorità pensavano solo al loro interesse e all’eventuale guadagno sulla pelle dei detenuti più poveri. Povera giustizia.