Quando compriamo le uova, non facciamo i polli!
Bianca Fasano
Se non tutti gli acquirenti, una buona percentuale, specialmente in questi inquietanti periodi di magra economica, sceglie i prodotti in base ai costi. Sbagliato.
Specialmente quando la nostra attenzione si sposta sulle uova, che spesso rientrano tra gli ingredienti di saporite pietanze o più semplicemente finiscono in frittata, uova al tegamino, strapazzate o “a occhio di bue”.
Di questi tempi complessi, laddove l’essere umano si divide tra l’imperativo di fare del male al suo simile direttamente o indirettamente e il nascere di una coscienza nei confronti degli animali, amati sino al parossismo o, invece, calpestati e/o malamente uccisi nei macelli di carne bovina, suina, equina, oppure “bianca”.Ricordiamo che la carne di pollo è considerata bianca a “merito” di una distinzione tra carni bianche, rosse e nere, che disegna una classificazione affatto scientifica, secondo la quale il colore del tessuto muscolare “dovrebbe” riflettere l’entità del tessuto adiposo.
Ma torniamo a noi: c’è un tipo di scelta alimentare che si ripercuote di meno sulla salute dei poveri animali da noi considerati “da macello”, ossia quella di cibarsi dei loro prodotti, piuttosto che di essi stessi, ossia latte, lattiero – casearii, miele e uova.
Non è necessario divenire del tutto vegetariani o vegani per ridurre le sofferenze dei poveri animali da macello che sono tanti, troppi e anche in malo modo, affrettatamente uccisi, perché l’essere umano, in alcune parti del mondo, ne richiede quantità enormi. In altri c’è invece carenza di cibo e persino di acqua. Ma questa è un’altra storia.
Torniamo ai polli e alle uova.
Quelle che troviamo confezionate sui banchi del supermercato e ci fanno andare con la fantasia alle gallinelle piene di salute che scorazzano sul davanti di allegre fattorie, sono invece, nella maggioranza delle volte, prodotte dal dolore subito dalle galline negli allevamenti intensivi. L’indifferenza con cui scegliamo la tipologia delle uova da portare a casa, o, più spesso, la direzione verso quelle dei cartoni che costano meno, può fare la differenza.
Anche se non è facile rendercene conto, ciascuno di noi, parafrasando Totò, dovrebbe pensare: “È la somma che fa il totale”, per cui cominciare a fare la differenza. Ognuno di noi ha, difatti, il potere di ridurre gradualmente e giungere nel tempo a porre la fine di questo sistema che violenta gli animali e, anche se non ce ne rendiamo conto, ci conduce a nutrirci di sostanze sempre più inquinate e meno naturali e salutari.
Restando sulle uova: vi siete mai chiesti perché una gallina le depone?
Semplice: i polli, alcune quaglie, un bel numero di oche e anatre hanno tendenza naturale di volersi a tutti i costi riprodurre. Ragion per cui, anche senza la presenza di un maschio, le depongono durante tutto il periodo dell’anno.
Per quanti hanno avuto la fortuna di avere un pollaio, grande o piccolo, la memoria fornisce felici quadretti di uova deposte da galline allegre, che le covano, per poi accudire pulcini di vario tipo e colore.
Personalmente ho inseguito qualche furfantella che le andava a deporre di nascosto nei cespugli, per tema che gliele portassi via.
Cancellate dalla mente quelle simpatiche immagini, quando vi ritrovate davanti ai banchi del supermercato. Se siamo presbiti, mettiamoci gli occhiali e cominciamo a leggere i segnali che ci permettono di riconoscere senza alcun dubbio la provenienza delle uova. Quando ingenuamente ci dedichiamo a leggere la dicitura sulla confezione possiamo trarci in inganno. Eccolo scritto chiaramente: ”Allevamento a terra”. Già immaginiamo felici gallinelle multicolori scorazzare per terreni beccando granone. Tuttavia questa dicitura trae in inganno: la ‘terra’ altro non è che la terra battuta che rappresenta il pavimento del capannone laddove luce del sole e aria pulita naturale non giunge mai e nel quale le galline sono così ammassate che non è possibile neanche vederla quella declamata terra. Come pensate possa essere salutare quell’uovo, comunque prodotto dall’organismo di una gallina, se quella bestia mangia male, vive male ed ha l’intero corpo, cervello compreso, avvelenato dalla sofferenza? Le uova con la dicitura “provenienti da allevamenti di galline allevate all’aperto”, vanno un tantino meglio, in quanto in questo caso prevedono che le galline siano in strutture come quelle allevate a terra, ma abbiano la possibilità di passare alcune ore della giornata all’esterno, quindi di avere accesso, almeno secondo quanto prevede la legge, all’aria aperta e alla luce, se non altro di tanto in tanto.
Volendo capire qualcosa di più sulle uova, consiglio di armarsi di una lente d’ingrandimento, una volta portato a casa il prezioso alimento: basta guardare il codice impresso su ciascuna di esse. La prima cifra del codice è quella che ci dice da quale tipo di allevamento proviene l’uovo, ed è quella che dobbiamo guardare: ‘1’, allevamento all’aperto, ‘2’, allevamento a terra (che significa al chiuso, stipate nei capannoni) e ‘3’, allevamento in gabbia. Soltanto lo ‘0’ indica invece l’allevamento biologico.
Parliamoci chiaro: l’obiettivo di chi vende questa merce chiamata ‘cibo’ è sempre quello di guadagnare di più, senza, ovviamente, chiedersi cosa ne pensino le povere galline e quale sia la salute che ne consegue, dell’acquirente, Cioè: NOI.
Gli spot televisivi sono fatti per vendere, non per accrescere la capacità di distinguere di noi “polli”.
Riflettiamo su quanti spot ci presentano bambini seguiti dai nonni nelle “fattorie di famiglia” correre ad accarezzare coniglietti e gallinelle con i loro piccoli, mostrandoci animali che sono rispettati e lasciati a nutrirsi liberi.
Ve ne sono forse di quelli che mostrano la realtà delle gabbie in batteria, dei capannoni sovraffollati?
Chiaramente no, questo perché la seconda e veritiera ipotesi confligge, da un punto di vista etico e salutistico, con quello che dovrebbe avvenire e quindi i produttori non vogliono mostrarci la realtà.
Il tentativo é sempre quello di separare dagli occhi dell’acquirente la filiera produttiva, in altre parole tutto ciò che sta all’origine di quella, a prima vista inoffensiva, confezione sullo scaffale del supermercato.
Non avrebbero di che vantarsi e noi potremmo soltanto rabbrividire al conoscere e al vedere quello che c’è all’origine dell’uovo meno caro.
Giusto, parliamo del prezzo: con qualche veloce raffronto tra una confezione di uova ‘0’ e una di uova ‘3’ annoteremo una minima differenza di prezzo.
Chiaramente le uova zero costano di più: è logico, sono più etiche, più genuine, più salutari e più naturali! Allora ci chiediamo: perché così pochi produttori si dedicano all’allevamento biologico? La risposta è duplice: a loro costa di più e noi “polli” ci lanciamo sulle uova che costano di meno.
Pagare quei pochi centesimi in più per un uovo è il potere che abbiamo nelle nostre mani, tangibile, efficiente e funzionale per ottenere, ciascuno di noi, la possibilità di porre fine alla crudeltà legalizzata che permette agli “allevatori” di far soffrire, giorno dopo giorno, quelle povere bestie rinchiuse, cui non è dato e mai sarà data la possibilità di vedere schiudere anche soltanto uno di quelle uova che ogni giorno sfornano soffrendo.
Pagare quel centesimo di più vuole dire che ci schieriamo, senza rischio di essere fraintesi, dalla parte di chi si rifiuta di alimentare un mercato altamente indecente.
Cambiare il mondo? Un piccolo passo alla volta si può perché acquistando solamente uova di tipo ‘0’ diamo un realistico segnale al mercato, che si vedrà costretto a orientare la produzione verso sistemi eticamente più accettabili di quelli attualmente utilizzati.
Salviamo la nostra pancia e in contemporanea milioni di galline da una vita di sofferenza.
Volete i numeri? Mi risulta che in questo periodo in Italia siano ben quaranta milioni le galline che sono allevate nei terribili sistemi in batteria!
Immaginate per un momento se questa “sveglia” funzionasse e i produttori di uova sfornate da galline sofferenti vedessero che la loro merce resta invenduta su tanti, molto banchi del supermercato.
Che frittatona sarebbe per loro!
Che segnale per comprendere che i tempi sono cambiati e noi consumatori siamo diventati aquile dall’occhio vigile e non più, come a loro fa comodo, polli di batteria.