VERBI SWAHILI: KUSIMULIA parlare, raccontare
Padre Oliviero Ferro
Una delle esperienze più belle, tra le tante che si possono fare in Africa, è quella di assistere ai racconti, fatti soprattutto di sera, attorno al fuoco, tutti seduti in cerchio. Era, credo, il primo anno vissuto a Baraka(Congo) nel 1984. Ero responsabile dei giovani. Una sera mi invitano a un cerchio di gioia. Il sole era già tramontato e la luna spargeva i suoi raggi sulle acque del lago. In alto le stelle le facevano corona. In lontananza il canto dei pescatori che stavano andando al largo, con le loro piroghe a bilanciere e con la lampada per farsi luce e per scoraggiare i coccodrilli e gli ippopotami che stavano per andare a pascolare nei campi lungo il lago. Noi ci eravamo fermati tra la casa dei missionari e la spiaggia. Avevano già acceso il fuoco e le pietre in circolo. Qualcuno comincia a battere il tamburo. Prima con calma, poi piano piano il ritmo aumenta e con esso parte il canto. Ci si alza in piedi per danzare molto lentamente. Poi, si ferma di colpo. è il segnale per sedersi, perché fra poco sarebbe arrivato colui che avrebbe cominciato a raccontare (kusimulia). E’ il responsabile dei giovani (il mwongozi). Entra nel cerchio e dice “Hadisi njo” (il racconto comincia) e tutti rispondiamo “Eleza”(vai, comincia)”. Allora si entra in un mondo fantastico. Se mi ricordo bene quella storia era simile a quella del visconte dimezzato di Gianni Rodari (scrittore di Omegna e grande narratore e poeta per i bambini della scuola, di Omegna). Ogni tanto il narratore si ferma, ci guarda e lancia di nuovo il suo ritornello “hadisi njo” e noi “eleza”. E così si va avanti, l’attenzione continua. Il tempo sembra non passare più. La storia ci prende e ci sentiamo parte della vicenda, finchè il tamburo riprende a suonare. Il narratore esce dal cerchio. Altro piccolo giro di danza e…buona notte.