I mali dell’Italia

Giuseppe Lembo

L’Italia è in una condizione di profondo malessere, diversamente distribuito; la situazione del Paese è più grave al Sud, dove mali antichi si assommano ai mali del nostro tempo. È qui che la quotidianità è sempre più difficile; crescono le povertà; cresce la disperazione di chi non ha il necessario per campare. È in aumento l’abbandono dei territori soprattutto se trattasi di territori minori. La gente scappa per cercare altrove pane e lavoro. Ma vediamo nell’insieme, le cause dei mali d’Italia. Si tratta di mali dalle cause soprattutto antropiche. La crisi della cultura, la mancanza di una comunicazione autentica, l’invasione del mediatico, gli egoismi dei consumi, la solitudine, la crescente crisi dello stare insieme, rendono incancreniti i mali del nostro Paese che soffre e non sa ritrovare la giusta via, per riprendere il cammino con al centro l’uomo, partendo dai territori di ciascuno, per poi arrivare all’”uomo globale”, che è parte del processo di mondializzazione in forte crescita in questo inizio del Terzo Millennio. Ma perché tante cose, tutte insieme, sono alla base dei mali d’Italia? Il processo di crescita sociale e di sviluppo territoriale si è arrestato soprattutto a causa di una profonda crisi della politica e di una crescente mediocrizzazione della classe dirigente del paese. È mancato il rapporto politica/società; la piazza reale ha ceduto il posto alla piazza mediatica, con l’esclusione del partecipare, dello stare insieme, del dialogo e del confronto delle idee per crescere. La rappresentanza dirigistica ha preso il posto della società d’insieme, forte delle idee condivise. La politica, spogliandosi delle sue radici e delle tradizioni ha abdicato a favore dei poteri forti che, espropriando il diritto delle idee condivise, delle idee d’insieme, ha monopolizzato scelte e decisioni, con la crescente esclusione del popolo, soggetto centrale ed indiscusso di ogni democrazia rappresentativa. Il tutto ha determinato una crisi profonda della società civile; anche il sindacato ha fatto la sua parte, adoperandosi, così come si è adoperato, per una “falsa uguaglianza” dei diritti, eliminando i doveri ed il merito che, di fatto, fa la differenza. Nel mondo del lavoro italiano, oltre alle problematiche più generali della globalizzazione, c’è una crisi antropica e di crescente disaffezione dei lavoratori al proprio lavoro. Scomparsa la coscienza della classe operaia, viviamo in modo allucinante, un “ibrido umano” che è il frutto di un profondo malessere sociale, dovuto alla crisi delle rappresentanze e degli apparati. Anche i non soddisfacenti percorsi di conoscenza, di cultura e di formazione, contribuiscono a rendere il mondo del lavoro, un male profondo dell’Italia che, è in crisi di sviluppo, perché non sa produrre ricchezza e quindi non ha risorse da rendere spendibili sul piano del welfare. I mali di oggi saranno mali peggiori, irrisolvibili e irreversibili nel corso del prossimo decennio, quando si assottiglieranno ulteriormente le risorse trasferite, necessarie a garantire le fasce deboli della popolazione. Purtroppo non ci sarà ricchezza da distribuire, per cui saranno guai seri, data l’impossibilità a mantenere una crescente popolazione di anziani che rivendica il supporto dello Stato Sociale (welfare) per garantirsi le attese di vita in forte crescita. Un punto centrale e di sintesi profonda del “malessere Italia “ è dato dal non entusiasmante funzionamento delle sue istituzioni. Rappresentano un ulteriore scollamento della società civile che richiede i diritti necessari ad un esistere, nella dignità e nel rispetto dell’uomo, fortemente tradito ed abbandonato. Siamo, analizzando il funzionamento delle istituzioni del nostro Paese, purtroppo, alla deriva. Non è per spirito di catastrofismo, né per atteggiamento compiaciuto, che si è portati a “pensare negativo”. Le nostre istituzioni di rappresentanza degli interessi comuni con prospettive di un “futuro possibile” sono alla deriva. L’Italia come sostiene Rizzo e Stella, rischia il naufragio. Il catastrofismo è purtroppo sostanziato dalle situazioni diffuse di un malessere che è lontano anni luce dal senso condiviso del bene comune.  C’è un clima diffuso di declino; tanto, per effetto di egoismi corporativi dovuti ad ottusità diffuse. La politica, ormai prigioniera delle proprie condizioni e dei propri privilegi, ha traumaticamente abdicato ai poteri forti che non riescono a tenere insieme il Paese; ormai allo sbando, non si sa progettare il futuro e tutto, irrimediabilmente, si riduce ad un presente malato e senza prospettive. Ha ragione Giorgio Napoletano, a ritenersi fortemente allarmato sui mali d’Italia; occorre a suo dire, andare alle radici della disaffezione, del disincanto verso la politica; occorre gettare un ponte di comunicazione e di dialogo con le nuove generazioni. Purtroppo si parla a sordi, per cui ogni invito al cambiamento, resta inascoltato e cade nel nulla. Responsabilmente, è ora di cambiare gli italiani, per evitare al nostro Paese, avventure senza ritorno. Occorre accelerare i processi per la realizzazione delle opere strutturali ed infrastrutturali, necessarie per ammodernare il Paese e farlo crescere con l’impegno e la partecipazione attiva dei cittadini ai processi di sviluppo. L’Italia del degrado, del profondo malessere, del declino incontrovertibile, trova la sua ragion d’essere e la fragilità delle sue radici in decenni di abbandono, di assalti sconsiderati alle buone regole del vivere civile; il grande fardello della malasocietà italiana ha le sue profonde radici in uno status vivendi del paese e della sua gente, sedotta ed abbandonata ad un destino di inevitabile declino, deriva certa e senza alcuna prospettiva di futuro possibile. La crisi italiana con una sua storia di decenni, riguarda la politica che non c’è, la giustizia, le istituzioni in generale, la scuola che ha prodotto un “milione di asini”, le università incapaci di creare saperi e conoscenza, feudi incontrastati di baroni e baronetti in cerca affannosa di privilegi per sé, per i propri familiari e per i propri clan di appartenenza. È tempo di rinsavire! È tempo di uscire dallo stato di ubriachezza collettiva che sta portando l’Italia alla deriva! È tempo di smetterla con le “piazze mediatiche” e con un parlarsi addosso, funzionale al potere che non vuole la gente informata, consapevole e capace di agire positivamente per il proprio bene e per il bene comune!