L’orgoglio è un aspetto vitale della dignità dell’individuo

Giuseppe Lembo

La fama è il massimo traguardo a cui possa aspirare l’esistenza umana. Una società che vive  in base a questo principio, esalta la celebrazione di sé, la proiezione e l’amplificazione dell’ego, a tutto discapito dei valori umani oggi fortemente in crisi. In un paese che non c’è, c’è una profonda crisi culturale. È soprattutto il Sud a soffrire di una profonda crisi; è rappresentata essenzialmente dalla crisi culturale. La cultura ha un ruolo secondario e subalterno alla politica che è vista o meglio è fatta vedere dai suoi protagonisti, come primaria, come l’unica capace di riempire i vuoti del tessuto storico e sociale. Al Sud ed in tutti i Sud del mondo, per cambiare la società e per far crescere l’uomo, è prioritaria la questione culturale; è centrale per elaborare dei progetti politici funzionali alla gente e non al potere. Il Sud ed i Sud del mondo vivono una forte condizione di arretratezza rispetto al resto del mondo; così non può durare. Nonostante tutto, non bisogna considerare passivamente l’idea di una modernità omogenea che ha il diritto di imporsi unilateralmente. Il progresso non è una realtà o una forma unica; la modernità è multipla; bisogna saper “pensare mondialmente” come era nei pensieri di  Gramsci. La modernità multipla ci porta a riconsiderare i mali del Sud e del Sud del mondo; ci porta da noi, a riconsiderare i mali di Napoli e della Campania. Sono mali la cui complessità è tutta dentro ai processi planetari. Bisogna saper ripensare il passato per poi aprire intelligentemente il presente a diverse configurazioni. Ancora, purtroppo, siamo di fronte ad un presente vittima di una storia scritta altrove. Il problema delle differenze è dovuto alla cultura; la mancanza di cultura democratica blocca la possibilità di dissenso intellettuale e quindi della stessa democrazia reale, malamente sentita e vissuta nei dettagli del tessuto quotidiano. Nel Sud mentre è fortemente radicata la formalità del potere e la retorica della politica, la cultura resta un’appendice. In questa condizione di diffuso malessere culturale, l’istruzione (dalla Scuola all’Università) rappresenta una componente infrastrutturale. In Italia in generale per decenni è mancato un adeguato investimento economico e politico nello studio e nella ricerca. Si è trattato, purtroppo di un investimento tra i più bassi d’Europa. Gli uomini di cultura del nostro paese, hanno continuato a comportarsi elitariamente; il loro senso stretto della cultura non ha preparato, né ha permesso alle masse di affrontare la società della conoscenza in arrivo. La formazione culturale da cenerentola è un danno grave per cui deve diventare una vera e propria questione culturale; serve a sviluppare i linguaggi della conoscenza, a favorire le inclusioni, a far crescere le masse critiche ed a dare a tutti la possibilità di pensare e di riflettere criticamente anche sulla modernità e sullo sviluppo, sapendo ricercare le cause a base dell’inclusione e/o dell’esclusione dai processi di cambiamento e quindi di sviluppo oggi inteso in senso globale, partendo dallo sviluppo locale. È la politica che fa la cultura, oppure è la cultura che fa la politica? È soprattutto, la cultura che fa la politica. Così intesa, la cultura rappresenta la questione chiave del potere. Un esempio in tal senso, nel nostro Paese è dato dal berlusconismo, una forma culturale o meglio dire subculturale che ha promosso mondi lontani dalla realtà ed un modo diverso di concepire e di comprendere la politica. Nessuno, prima e meglio di Berlusconi ha interpretato il  territorio come la televisione e la piazza di una volta, come lo schermo del video dal quale non serve proporre, per avere consensi, un mondo reale, ma solo un mondo dell’apparire che affascina, seduce e convince i tanti che pensano alla vita reale come un sogno, come un quiz per vincere ricchezza e godersi i piaceri delle cose possedute, lontani dagli affanni della quotidianità, apparentemente estranei al mondo dei più. Purtroppo solo apparentemente, in quanto il risveglio è amaro e lascia poco spazio al dolce sognare.