Giulio Caso
Dando per scontate tutte le, conosciute,  leggende sull’argomento, e non facendo  confusione con le varie tradizioni come fucarine etc.
La scassaria, a testimonianza di chi ricorda, si riferiva al gesto di rompere tutto ciò che si era deteriorato, rigorosamente di legno, ovviamente.
Quindi si accatastava, questo legname,  al centro del cortile e si aggiungevano, intorno, fascine facilmente infiammabili.  Queste erano disposte verticalmente e si formava, quasi un albero di Natale attuale  di quelli a cono.
La disposizione, guidata da esperti che non mancavano di dare il tocco di assestamento per non far scivolare le fascine sovrapposte  le une sulle altre o, addirittura, creare una piccola concavità in cima in modo da dare aspetto simile ad un vulcano, divenne una caratteristica, ricorrente.
Si cercava anche di creare  ammasso, possibilmente, più alto dell’anno precedente.
L’accensione non era violenta, ma si contava sull’effetto “rimbalzo termico”. Cioè due o più fiamme vicine che si “sostenevano” a vicenda.
Le precauzioni, allora, erano relative e affidate al buonsenso.
Comunque la fiamma si alzava, ben presto in alto e durava parecchio perchè, consumate le fascine, veniva sostenuta dalla brace del legno al centro.
Alla fine, fra qualche botto buttato fra le fiamme (ma erano piccole cose), grida di gioia e visi riscaldati e pensierosi, si arrivava alla brace.
Le donne, allora, andavano a prendere i bracieri e raccoglievano una piccola porzione, ciascuna, di brace, su carbonella.
Era la condivisione del calore comune che aveva alimentato la speranza che l’inverno poteva superarsi in attesa della primavera.