Diventeremo poveri?
La povertà, non più appannaggio di alcuni ceti. Un tempo, la favola della principessa e del povero, per animare la fantasia dell’infanzia sul valore dell’amore. E spingere a bypassare le apparenze, per andar dritto al cuore, almeno quando si parla di sentimenti. Per un bel pezzo spacciata la miseria, per la solita solfa accelerante le molle della solidarietà terzomondista. Nell’opulento occidente, benessere, comfort e tanto di gruzzolo in banca, per le spese pazze fortuite. Per gl’investimenti sul mattone, dopo una tranquilla dimora, stipata di opere d’arte e di preziosi. Investimenti a pioggia, in passato, a seconda dei gusti e degli stili. Oggi, la crisi assediante, con l’incertezza del fine mese. I pochi scampati al flagello inflazionistico, indecisi su come far fruttare i propri risparmi. Come poterli raddoppiare, dopo averli custoditi gelosamente, presso uffici postali o sportelli bancari. Le finanze scivolano vertiginosamente: i crolli monetari, pane quotidiano. Con tutti gli annessi e connessi. Infatti, il 32% degl’ Italiani, se si trovasse improvvisamente senza redditi o altre entrate e dovesse sbarcare il lunario con i proventi accumulati, reggerebbe appena un trimestre. La povertà insisterebbe al suo uscio, con tanto di cappello logoro. In altri Paesi, invece, ancora maggiore il rischio: in Germania il 52,3% dei cittadini dovrebbe tirar remi in barca, meno comunque del Canada L’Italia dunque, con la sua solerte opera formicaia, vanterebbe una maggiore resistenza rispetto agli altri Stati industrializzati, dove insiste un’ampia fascia di persone che, pur vantando redditi superiori alla soglia di povertà, è vulnerabile al verificarsi di eventi negativi.