Salerno: Carisal “I Venerdì di Caravaggio”, concerto “Vox Baroque”

Penultimo appuntamento, venerdì 7 marzo, nel Complesso San Michele, nel cuore di Salerno, con il controtenore Pasquale Auricchio e il cembalista Francesco Aliberti, con un programma che spazierà da Monteverdi a Frescobaldi, per la Rassegna dei Concerti di musica Barocca in occasione della Mostra Caravaggio “La Presa di Cristo” dalla Collezione Ruffo.
“La cultura al centro dei nostri interventi per la crescita della collettività. È questo l’obiettivo che si pone la Fondazione Carisal attraverso il programma culturale de “I Venerdì di Caravaggio” tra conversazioni, musica e teatro, un’occasione per consolidare il legame tra la Fondazione Carisal e la comunità e valorizzare il patrimonio storico-artistico ed architettonico del Complesso San Michele, come centro culturale di eccellenza del territorio” ha dichiarato il Presidente della Fondazione Carisal, Domenico Credendino.
Nel corso del XVIII secolo, circa centomila giovani ragazzi furono evirati per preservare le loro voci acute. Tra di loro, pochissimi riuscirono a salire all’Olimpo del bel canto, diventando i cantanti più famosi di quell’era, le prime vere e proprie superstar internazionali. Erano forse i performer più virtuosi mai ascoltati, i castrati. L’eccezionale qualità del canto dei castrati derivava non solamente dalla particolarità del loro timbro e dall’estensione della loro tessitura vocale, ma anche dalla loro formazione ineluttabile e rigorosa. La loro arte si basava su una virtuosità perfetta, di tipo strumentale; su una lunghezza di fiato degna di nota; sulla loro estensione vocale, riuscivano ad utilizzare la loro risonanza di petto per le note gravi, mentre conservavano l’acuto originale della loro voce di testa, ma anche, quella nobile malinconia, derivante dal dramma dell’evirazione. Un sortilegio, la loro voce, Ferri, Caffarelli, Farinelli, Senesino, fino al Velluti, l’ultimo castrato, che verranno evocati attraverso arie di opere a loro dedicate da autori quali Monteverdi, Cavalli, Haendel, Hasse, Vivaldi, Vinci e Porpora. Nel soggiorno romano il Caravaggio ebbe modo di ascoltare la loro voce poiché nel 1589, Papa Sisto V riorganizzò il coro della Basilica di San Pietro, aggiungendo all’organico i castrati. In questo si risolveva il problema delle voci acute laddove alle donne non era permesso di cantare, infatti, “mulier taceat in ecclesia”, visto che le voci dei falsettisti si rivelavano troppo deboli. Successivamente, i castrati furono accolti dalla nascente opera, di cui diventarono i veri re, capaci d’incarnare sia i ruoli maschili che femminili, così come a Napoli, dove dal conservatorio di Sant’ Onofrio, si formarono quelle star che col loro canto hanno influenzato l’opera e la nostra scuola dei legni e di tutti i fiati, “voci” belle, capaci di passare dal pianissimo al forte e ritornare al piano su di una sola nota, e un virtuosismo “spinto”, leggendario, mai fine a sé stesso.
Saranno il controtenore Pasquale Auricchio e il cembalista Francesco Aliberti, per l’Associazione culturale Emiolia, a calarci in quel clima e in quella magia, venerdì 7 marzo, nell’abituale cornice del Complesso di San Michele, alle ore 19:00, nell’ambito della rassegna musicale nata intorno alla visione della tela “Presa di Cristo” del Caravaggio, realizzata dalla Fondazione Carisal, presieduta da Domenico Credendino, in collaborazione con i “Concerti d’Estate di Villa Guariglia”. Il programma verrà inaugurato dall’aria della Speranza, da l’Orfeo di Claudio Monteverdi. Siamo nel terzo atto e il protagonista, guidato dalla Speranza, è giunto all’ingresso del regno delle ombre, dove sulle note di “Ecco l’atra palude, ecco il nocchiero”, sarà affidato a Caronte. Seguirà l’aria più celebre dell’opera
Radamisto di Georg Friederich Haendel, “Ombra cara” dal secondo atto, in cui Radamisto esprime il suo dolore per la presunta morte di Zenobia: nella tonalità di fa minore, presenta una complessa scrittura polifonica a cinque parti, su cui si staglia l’espressiva linea melodica del protagonista. Nonostante Zenobia non sia morta davvero, il compositore impiega la tipologia della scena di lamento, con elementi stilistici quali il grido di dolore iniziale o il movimento cromatico racchiuso nell’intervallo di quarta. Ritorno in Italia con il Giasone di Francesco Cavalli e il protagonista che canta “Delizie e contenti”, un momento amoroso, in cui l’invenzione musicale di Cavalli non è solo appropriata, quanto inesauribile, e stupisce per la ricchezza di idee, sempre perfettamente consone all’ azione, che alimenta al possibile i mutevoli umori, grazie all’efficacia drammatica della scrittura musicale come nel suo spessore letterario. Ed ecco Johann Adolf Hasse il compositore fiammingo, allievo del Porpora, assai prolifico e longevo, attraversò tutto il periodo cosiddetto barocco fino a conoscere il quindicenne Mozart, a Milano nel 1771, dove entrambi erano impegnati in proprie rappresentazioni teatrali, col suo Tito Vespasiano dal quale ascolteremo l’aria del III atto di Sesto, “Vo’ disperato a morte”, che fu eseguita all’epoca da Giovanni Carestini, partitura in cui il compositore si focalizzò sul virtuosismo e sulla ricerca timbrica. Primo momento strumentale offerto dal cembalista Francesco Aliberti, sarà la seconda toccata dal libro secondo per clavicembalo di Girolamo Frescobaldi, la cui essenza sta in quella morbidissima sottigliezza di linea, e dalla ricerca cromatica, in una evanescenza ritmica sempre più libera, sciolta da ogni ricordo di schema e di necessità figurative. Sbarco a Napoli con il maestro di Farinelli, Nicola Antonio Porpora e il suo Polifemo, in cui Pasquale Auricchio darà voce ad Aci per l’aria del terzo atto “Alto Giove” dove in un climax drammatico si raffigura come resuscitato nelle vesti di dio acquatico grazie alla solenne supplica di Galatea. Pasquale Auricchio sarà poi Anastasio per elevare l’aria “Vedrò con mio diletto” dal I atto de’ Il Giustino di Antonio Vivaldi, che canta la gioia che si aspetta di provare nel rivedere la sua amata moglie, dopo averle posto ai piedi il bottino della sua vittoria sul suo nemico.
Il secondo momento strumentale è arrangiato dallo stesso cembalista, basato, naturalmente, come nella toccata d’apertura, sulla improvvisazione e sulle figure retoriche, su temi di vari autori di villanelle, dove riconosceremo anche il sentire napoletano, e in cui riconosceremo un omaggio a Palestrina. Si riprenderà con Claudio Monteverdi “Sì dolce il tormento” datato 1624. La canzone parla di essere negato l’amore e di trovare il desiderio di esso più dolce di quello che sarebbe se la “donna malvagia” restituisse effettivamente i suoi affetti. Aria di tempesta sarà “In braccio a mille furie” dalla Semiramide riconosciuta di Leonardo Vinci, un omaggio al Caffarelli, in cui nella virtuosistica linea vocale si intuiscono i supplizi da parte della vittima, tormentata senza pietà. Finale sull’essenza del barocco per quel suo moto di tensione e distensione fra un lirismo allentato e dolente, talora fino alla rarefazione, e picchi di alta drammaticità e forza penetrativa, Pasquale Auricchio ha scelto “Lascia ch’io pianga” dal Rinaldo di Haendel. Ciò che forse impressiona maggiormente, nel Rinaldo, è l’estrema varietà della musica. L’uso frequente dei fiati con funzione solistica dà alla partitura un colore pronunciato; ma Händel non esita neppure ad adottare soluzioni del tutto insolite, come i passi improvvisati dal clavicembalo, riutilizzando, in alcuni casi, alcune delle sue precedenti musiche italiane senza apportarvi mutamenti, mentre, in altri, limitandosi a recuperare da esse spunti tematici e a rielaborarli diversamente. Infatti, la famosissima aria di Almirena, non è altro che “Lascia la spina cogli la rosa”, l’aria di Piacere, dall’ oratorio “Il trionfo del Tempo e del Disinganno”, che il controtenore proporrà evocando, Carlo Broschi, detto il Farinelli, esempio di dolcezza d’espressione e abbandono malinconico.