Vita di Missione: Alfabeto Africano, I come Istruzione
Uno dei diritti fondamentali della persona è quello di andare a scuola, di imparare. Insomma di istruirsi, di conoscere. Quando poi vai in Africa, ti accorgi che le cose stanno in un modo diverso. Certo molti vanno a scuola. Ma in che condizioni? Mi ha sempre fatto impressione, quando un giovane del liceo mi ha detto che nella loro classe erano in 110. Ma senza andare molto lontano, nelle scuole elementari, le classi hanno come minimo 50-60 bambini con una sola maestra. In molte scuole, l’attrezzatura scolastica è ridotta al minimo. Certo ci sono i muri, anche il tetto (di paglia o con delle lamiere). Le porte, sì ci sono e si chiudono con il lucchetto. C’è la lavagna a muro,il tavolino per la maestra e i banchi,in cui stanno 5-6 bambini, belli stretti così si fanno coraggio. Si comincia alle sette del mattino, dopo aver fatto un po’ di chilometri a piedi. Dopo l’inno nazionale, si entra in classe e si cominciano le lezioni. Tutto viene trascritto sui quaderni (anche gli esperimenti di fisica). La maestra fa ripetere ai bambini quello che è scritto sulla lavagna. A metà mattina, c’è la pausa-merenda. Chi ha portato qualcosa da casa, mangia. Chi ha qualche soldino, va a comperare qualche banana o le arachidi caramellate. Altrimenti mangia, guardando l’appetito degli altri. Naturalmente si gioca. Poi, di nuovo in classe fino alle quindici. E poi via verso casa, per fare i compiti, le faccende di casa, giocare, riposare e ricominciare il giorno dopo. Fino a quando i genitori possono pagare le tasse scolastiche, si va a scuola. Altrimenti si ritorna a casa. Solo chi ha i soldi, potrà continuare gli studi. Le ragazze sono quelle che si perdono per strada, perché i genitori hanno bisogno della loro presenza a casa. Purtroppo, la donna viene sempre messa in disparte e sono poche le ragazze che riescono normalmente negli studia. Da non dimenticare anche la corruzione, visto che gli insegnanti sono pagati poco. Ma questo è un discorso che ci porterebbe lontano. Speriamo che nel futuro anche i nostri amici dell’Africa possano realizzare i loro sogni, non solo sportivi, ma anche di una vita migliore.