Educare alla preghiera con la Bibbia
don Marcello Stanzione
La parola Bibbia, derivante dalla lingua greca, vuol dire libri: comprende un insieme di narrazioni e di composizioni letterarie che sono state trasmesse dalla tradizione ebraico-cristiana, prima oralmente e poi con la scrittura. Il termine Bibbia è di origine cristiana, come lo sono i vocaboli Antico e Nuovo Testamento. Nell’antichità, i primi sistemi di scrittura si svilupparono attraverso l’uso di simboli, incisi nell’argilla e sulla pietra. Gli Egizi incominciarono a scrivere su fogli ricavati dal papiro, pianta che cresce nella acque del Nilo. In seguito utilizzate anche pelli di animali, chiamate pergamene. I manoscritti della Bibbia su papiro e pergamena sono scritti in ebraico e in greco. Sin dal primo secolo la Chiesa avvertì la necessità di traduzioni della Bibbia in latino: la più nota è detta Vetus Latina (cioè l’Antica Latina). San Gerolamo nel 382 fu incaricato da Papa Damaso di fare poi Vulgata (cioè divulgata tra il popolo) , che, ritoccata successivamente da altri, fu prescritta come autenticata nel 1546 dal Concilio di Trento. La prima stampa – denominata “Bibbia a 42 linee” – fu eseguita da Johann Gutenberg il 23 febbraio 1455, a Magonza. L’Italia fu la prima nazione a possedere una versione della Bibbia nelle propria lingua: venne stampata a Venezia (1471) da Nicolaus Jenson, in 2 volumi. I cristiani attribuirono alla Bibbia denominazioni diverse, e precisamente: Parola di Dio, Sacra Scrittura, Antico e Nuovo Testamento, Antica e Nuova Alleanza, Prima e Seconda Alleanza, Scritture, Sacre Lettere, La Scrittura, Libro dei Libri, Libri Sacri, Sacra Pagina… Per la Bibbia intendiamo sia il contenuto di Rivelazione, sia il linguaggio che l’esprime. Nella Chiesa del dopo Concilio la Bibbia ha acquistato sempre più uno spazio notevole: ad esempio, letture e omelia nella Eucaristia domenicale, contesto catechistico-scolastico, liturgia delle ore per i laici, ecc. Bisogna però domandarsi se a questa maggiore presenza materiale abbia corrisposto una effettiva incidenza formativa. Su questo aspetto educativo sarei un po’ scettico perché ho l’impressione che in molte comunità ecclesiali si offra ancora la Bibbia in modo “grezzo”, senza le opportune mediazioni educative e culturali, per cui la vita spirituale del credente medio risulta insufficientemente illuminata dalla Bibbia. Per quanto riguarda il rapporto tra Bibbia e preghiera, la Bibbia ha sul piano teologico il compito di “illuminazione dogmatica” su ciò che è la preghiera cristiana e non accontentarsi che i ragazzi e i giovani preghino in modo generico: “ tanto basta che preghino!”. Con la Bibbia si deve evangelizzare la loro psicologia in evoluzione per favorire il passaggio da una religiosità naturale ed infantile ad una fede personale e matura, pur secondo l’età, in Gesù il Signore. La Bibbia può aiutare il ragazzo (11-14 anni) a superare il soggettivismo ed il narcisismo per cui il preadolescente rischia di “pregarsi addosso” come uno sfogo emotivo gratificante, concentrandosi solo sulla preghiera di domanda. La Bibbia può aiutare i gruppi di giovanili (dai 14-15 anni in su ) a fare, contro ogni tendenza a ghettizzarsi, esperienza dell’unità di un popolo che prega e con ciò la preghiera può divenire elemento della comunità ecclesiale più ampia. Prima però di offrire alcune mete educative generali per una qualità biblica della preghiera dei ragazzi e dei giovani, è opportuno considerare brevemente i fondamentali biblici della preghiera cristiana autentica.