Scuole inadeguate?
I nostri istituti educativi sono sempre meno in grado di assolvere il loro compito istituzionale. E la causa non è, come si usa dire, l’inadeguatezza delle strutture o dei programmi di studio. Se i problemi fossero questi, sarebbero presto risolvibili con un po’ di soldi in più e qualche provvedimento ministeriale ben congegnato (so bene che ambedue le cose sono altamente improbabili; voglio dire semplicemente che non sarebbero concettualmente difficili). Invece, a opinione di chi scrive, i problemi di fondo sono tre, e molto più gravi di questo. Il primo che la maggior parte degli alunni non sa più perché dovrebbe studiare quello che studia, in special modo quelle materie che non sono considerate immediatamente “utili” (cioè quasi tutte meno l’informatica e l’inglese): la questione concerne in maniera più accentuata, ma non solo, le materie umanistiche. Il secondo problema, meno diffuso ma più grave, è che talvolta anche i docenti di queste discipline si domandano perché debbano continuare a insegnarle. Il terzo, estremamente più grave, è che spesso non lo sanno bene neanche i governi. Inoltre, da alcuni anni nella scuola italiana, senza che nessuno lo abbia esplicitamente dichiarato, tutte le materie, tutte (anche quelle poche considerate “utili”), sono diventate facoltative: infatti da quando il ministro D’Onofrio ha abolito nel 1995 gli esami di riparazione (i famosi “esami di settembre”), ogni professore come ogni alunno sa perfettamente – anche se per un istintivo e comprensibile pudore è restio ad ammetterlo – è possibile e legale uscire dal liceo classico senza aver mai studiato una parola di greco, dallo scientifico senza sapere nessuna legge fisica, dal linguistico senza riuscire a tradurre una frase in inglese. Infatti poiché si può respingere un ragazzo solo se risulta gravemente insufficiente in più materie, allo stato attuale una pur grave impreparazione anche in un paio di discipline fondamentali si risolve di regola con una promozione, accompagnata dall’obbligo di recuperare il debito formativo (debitus solutus) prima dell’inizio del nuovo anno scolastico, la cui efficacia non è assolutamente rilevante poiché comunque la promozione è concessa prima, e non, come sarebbe logico, dopo. Considerate simili premesse, si comprenderà che limitarsi ad attendere speranzosamente la Grande Riforma Risolutrice che discende dal cielo delle istituzioni, invocandola con un atteggiamento simile a quello delle attese messianiche più ingenue, è in realtà un gioco pericoloso che rischia di suscitare mostri ben più perniciosi di quelli già apparsi, i quali potrebbero inghiottire in un boccone solo, e per sempre, quel poco o quel tanto di buono che a nostra scuola sa ancora dare.
Un quadro davvero desolante aggravato dall’ignoranza di quanti disquisiscono in genere sull’utilità di alcune materie, dalle disconferme del Ministro che emette ordinanze e pubblicamente incassa la disobbedienza alle stesse. Ma non c’è poi tanto di nuovo dalla fine del secolo ai primi anni del 2000. Zone d’Italia dove intere materie non erano neppure svolte (il Latino). Licei Scientifici che omettevano sistematicamente l’integrazione per parti e l’analisi combinatoria, nonché la geometria nello spazio. Ed ecco dal Ministero i temi d’esame che mettevano il dito nella piaga delle mancanze dei Colleghi. Programmi di Fisica che occupavano a stento poco più di mezza facciata ed il cui “lessico” evidenziava una certa ignoranza di base del docente. Ora si sente da dritta e da manca, la fanfara dell’aumento dei bocciati come indicatore che si è tornati alla serietà. Il che chiarisce che prima seri non eravamo e, ancor più grave, evidenzia con l’aumento dei bocciati la bocciatura di una scuola vista come l’Istituzione sociale la meno credibile e rispondente alla sua azione didattica ed educatrice. Cordialità.
Salvatore Ganci