Collodi, il Paese dei Balocchi

Ferdinando Longobardi

L’attacco lanciato a quella che fino ad oggi, e da almeno tremila anni, è stata chiamata cultura, è peggio che frontale: è concreto, insidioso e già pienamente operante. Ma rischia di travolgere, insieme alle materie umanistiche, anche quelle altre discipline, scientifiche e non, che, guarda caso, hanno un nome greco: matematica, fisica, geometria, filosofia, filologia, archeologia, biologia, meccanica e (perché no?) psicanalisi e teologia. Il problema di chi vorrebbe riformare i contenuti educativi scolastici non è di far apprendere qualcosa di più, ma qualcosa di meno. E se è vero che in genere ci si propone di “alleggerire” ciò che si considera “pesante”, ci viene addirittura il sospetto che l’opinione di chi vorrebbe riformare alcune delle materie – si pensi ad esempio alla Geografia – non sia poi tanto diversa da quella di certi simpatici alunni un po’ sfaticati: esse sarebbero “pesanti”. Il che in certi casi può essere peraltro vero, ma le soluzioni proposte non sembrano poi tanto geniali, ed è con rammarico che pensiamo che in nostro Collodi non le abbia potute tenere presenti nella descrizione del Paese dei Balocchi. Ovviamente non solo la cultura classica, ma anche la cultura tout court rischia di non uscire viva da questo inizio di millennio: a meno che i veri addetti ai lavori, che non sono gli esperti, ma i docenti italiani dotati di amore per la cultura e di esperienza, non la smettano di aspettare passivamente il Godot della riforma e non prendano in mano essi stessi, con le loro proposte e la loro conoscenza concreta dei problemi, le sorti del sistema educativo del nostro paese. Ma se continueranno a essere soltanto scettici, avviliti, dimessi e insoddisfatti, se non si dimostreranno anche capaci di saper ideare, proporre, offrire alternative a quanto viene imposto loro dal’alto, con quale diritto potranno poi criticare un decreto o una circolare amministrativa? Forse è il caso che anch’essi comincino a fare, per dimostrare che sanno sbagliare un po’ meno degli altri.

5 pensieri su “Collodi, il Paese dei Balocchi

  1. Gentile Autore,
    basta chiedersi a quali “Esperti” si affida (da lunga data) il Ministero per non meravigliarsi della distruzione sistematica del “sapere”. Questi “Esperti” non sono sicuramente i migliori Docenti Italiani (che conoscono molto concretamente la realtà della scuola) ma spesso sono sottoprodotti dell’ università che, poveri nella ricerca, devono pure dimostrare di essere “esperti” in qualcosa. In tutta la mia carriera ho svolto oltre i limiti consentiti i programmi di Matematica e Fisica nel Liceo Scientifico non ricevendo spiacevoli lamentele di studenti o genitori (ci vuole equilibrio nel non affossare l’allievo che non regge bene il ritmo)o Ispezioni, mentre una mia collega è stata meno fortunata. Sento forte il malcontento dei Docenti delle scuole elementari (le più significative nel processo educativo e di apprendimento. Sempre “tagli” sia sui contenuti di insegnamento che sui fondi, sempre più indisponenti i genitori laddove la buona volontà del Docente vuole superare alcuni limiti. Guai al Docente che vuole “rischiare” la carriera introducendo in seconda elementare elementi di analisi grammaticale. L’ex maestra di mio figlio (il quale si smazzava l’analisi grammaticale in seconda) mi dichiara con franchezza che “non se può più”. Non si capacita come un cambio generazionale di un solo ciclo completo trova allievi del tutto diversi e demotivati da quelli di cinque anni prima, oltre che privi di educazione primaria. Alla famiglia interessa solo avere il figlio parcheggiato fuori casa e senza altre seccature. Lei, Autore, descrive bene nella prima parte la fenomenologia ma nella seconda parte non trovo fatti propositivi. I tempi non sono ancora maturi. Quando gli interessi individuali lasceranno il posto ad una coscienza collettiva senz’altro avremo una rivoluzione (pacifica o meno non è facile da prevedere). Dell’oggi possiamo solo dire che la scuola non svolge la sua funzione, i suoi mali derivano (anche secondo P. A. Marazzini) dall’essere lavoratori “a mezzo tempo e mezzo stipendio”. Se il tempo fosse completo, sicuramente ci sarebbe da riconvertire i 3/4 di docenti donne con priorità e problemi familiari. Forse un drastico “meno numeri e più qualità” potrebbe essere la cura chirurgica dolorosa da tenere conto nei nuovi reclutamenti. Ma forse sarà tardi lo stesso. Lei, Autore, è ottimista o pessimista? Lei avrebbe idee fattive e concrete (pertanto dolorose) per far rinascere la scuola italiana? Confesso di avere compreso alla prima la prima parte del suo scritto mentre non ho capito il messaggio più ermetico della seconda parte.
    Cordialità
    Salvatore Ganci

  2. Gentile Dottor Ganci, la mia non è affatto presunzione, anzi, credo e mi sento di essere il meno preparato culturalmente rispetto a quanti contribuiscono ad arricchire questo prestigioso giornale on line. Tuttavia devo necessariamente ribadire che non trovo troppo edificanti certe presi di posizioni un po’ strane a favore della nostra scuola primaria (ovviamente non Sue nè di quelle della nostra sempre attiva e intelligente Direttrice).
    Quello che assolutamente non riesco a “macinare” nella mia mente è il fatto che, ai miei tempi, e parlo degli anni ‘trenta-quaranta,noi ragazzi, figli di poveri genitori ignoranti e privi anche di primissime nozioni scolastiche, non sapevamo neppure il significato dell”asilo infantile”. Io personalmente, ho iniziato a frequentare la prima elementare in una casa privata perchè le aule della scuola in construzione non erano ancora pronte. Avevo sei anni e non sapevo ancora tenere la penna in mano, anzi, non ne avevo mai vista una prima di allora. La maestra c’inegnava come fare i puntini, le “mazzarelle” verticali , orizzontali e obblique,le liniette a curve ecc. Dovevano trascorrere molti giorni per iniziare a trascrivere le prime vocali, in minuscolo e in maiuscolo (e che fatica! Portavamo a scuoola il calamaio d’inchiostro e la penna fatta di legno con due tipi di pennini ” a sfera e a “cavallotto”. Non avevamo giornaletti, ne televisione, radio, computer ecc. e non conoscevamo una sola parola in Italiano.
    Di libri? non se ne parlava proprio. Un piccolo sussidiario di poche pagine (almeno quello di terza elementare l’ho ancora conservato) dove si leggevano soprattutto paginette dell’opera Mussoliniana. Bisogna anche aggiungere che in alcune delle nostre case non vi era ancora la luce, il bagno, l’acqua potabile e si viveva in tanti in una sola stanza senza servizi, oltre alla sofferenza dell’immane fame. I Maestri , anch’essi, poveretti,si sacrificavano. La mia maestre veniva da via Vernieri fino a Pastena , in via Rocca Cocchia con un pezzettino di pane ed un uovo dove ci attingeva il pane per la sua misera colazione durante le lunghe ore di insegnamento. I maestri erano rigidi, preparati e volenterosi. Avevano a che fare con alunni intensamente ignoranti, eppure riuscivano , con la propria bravura e dedizione, ad insegnarci tutto ciò che potevano. I miei studi “risicati” di quinta elementare finirono durante il pieno svolgimento bellico (’43 ’44). Poi andai a lavorare. ed eccomi quì.
    Quello che ci tenevo a dire: come mai oggi , con tutti i privileggi che ci sono: libri ad iosa, giornali televisione ,Computers , asilo infantile ecc… ecc… non si riesce più a varcare la soglia dell’apprendimento? Sono forse gli stessi aiuti che hanno di continuo i ragazzi di oggi a distrarli, o sono alcuni insegnanti incapaci? Non comprendo, e non comprendo neache il fatto che finanche alcuni laureati non riescono a scrivere correttamente. Un abbraccio

  3. Carissimo Signor Alfredo, io condivido totalmente il Suo pensiero. Anche io non ho mai visto un asilo, ho frequentato le scuole elementari in quella che oggi verrebbe definita “multiclasse”, in un piccolo paesino in cui quando nevicava la scuola chiudeva. Quando sono approdata alle medie la scuola era molto più seria di oggi, e lo scrivo senza virgolette. Eravamo in undici in prima media e quattro furono bocciati senza troppe chiacchiere, a scuola non ci si pocchiava, non ci si insultava, si aveva un briciolo di rispetto. Al liceo ho imparato che non era sufficiente studiare per riuscire, l’essenziale era avere il cognome giusto, ma questa è un’altra storia… Oggi vedo che alle medie il classico “calcio” non si nega a nessuno, nemmeno a chi non porta il compito fatto e ride di fronte alle immagini di poveri ebrei mandati aorte nelle camere a gas. Anche io non avevo computer, avevo pochi libri perchè dove abitavo non vi erano librerie, e la televisione il mio saggio papà la acquistò solo quando ormai la avevano tutti. Io ho trentasei anni e mi rendo conto che sembra incredibile, eppure credo che la mia infanzia non sia stata affatto priva di stimoli educativi. Oggi è vero chei ragazzi hanno tutto, e questo è un bene solo se imparano ad usare con giudizio ciò che hanno. Quello che manca oggi è la voglia di fare, di migliorarsi a tutti i livelli. L’Autore dell’articolo ha ragione ad affermare che i docenti dovrebbero essere propositivi, ma quando ritroveranno il coraggio di educare oltre che insegnare? Con l’appiattimento generalizzato che personalmente osservo, non si vuole in realtà crearsi un alibi di ferro di fronte al tracollo della cultura, sia scolastica che personale? Quando osservo che ragazzi di terza media con quattro materie insufficienti passano, col sei chiaro, alle superiori cosa dovrei pensare: che i docenti hanno buon cuore o che se ne lavano le mani per non aver problemi? Cordialmente.
    Giovanna Rezzoagli

  4. Caro Signor Alfredo,
    leggere le sue osservazioni derivanti dalla saggezza di una vita piena e consapevolmente vissuta è sempre un piacere. E’ vero. Lei ci parla di altri tempi, tempi politicamente discutibili, ma tempi in cui essere “Maestro” era per l’interessato il più bel mestiere del mondo, nonostante lo stipendio ai limiti della sopravvivenza. C’era la passione, c’era forse la consapevolezza di vivere la propria vita in funzione del “dare” e dell'”essere”. Come era la scuola elementare e i suoi problemi dalla fine dell’800 alla riforma Gentile è magistralmente descritta in un libro di Redi Sante di Pol “Scuola e popolo nel riformismo liberale di inizio secolo” che è fruibile on Line. A mio modesto avviso, il ’68 (che da noi è duranto silente per decenni) ci ha plasmati tutti nella stretta osservanza dei Contratti Nazionali di Lavoro, quando i Sindacati tuonavano ogni giorno (oggi stanno zitti. La scuola è diventata il “ripiego” di tante signore, spesso mogli di professionisti con la priorità della famiglia. Basta dare un’occhiata al rapporto Donne/Uomini e concludere che l’alto rapporto avrà senz’altro una causa. Eppure tutti lavorano in osservanza ai CCNN… Evidentemente, in certi settori, non è questa la ricetta. Lei ha mai visto un infermiere o un medico di pronto soccorso lavorare secondo contratto? A me non è capitato, ma non è sufficiente per generalizzare. La scuola che non boccia nasconde delle gravi inadempienze e la scuola che boccia, boccia anche se stessa dando conferma di un fallimento. Da dove partire? Secondo me nel fare lavorare di più gli Ispettori durante l’anno scolastico (e non solo a fare qualche comparsa burocratica agli esami, nel tutelare il Docente che lavora da ingiustificate critiche di incompetenti. I programmi ministeriali sono ancora fermi a Gentile? Nelle more, non puniamo chi amplia i contenuti. La scuola non è un impiego par time per un secondo reddito, ma un lavoro da svolgere con passione, competenza e serietà. Qualunque studente si accorge in meno di mezz’ora che “tipo” di docente ha davanti e spesso si “modella” di conseguenza. La scuola ha soprattutto il compito di mostrarsi coerente e credibile, perché qualche volta è lo stesso Ministro a fornire disconferme.
    Con un saluto cordialissimo
    Salvatore Ganci

  5. Grazie amica dottoressa Rezzoagli, Le sono infinitamente grato per la condivisione del mio modesto intervento. A risentirci domani . Buona serata a tutti.

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