Rifiuti: la casetta in discarica
“Mamma, papà, vorrei tanto una casetta nel bosco”, così semplicemente chiedevano i bambini di un tempo ai loro genitori. Quella era l’epoca in cui ci si doveva preoccupare soltanto dell’eventuale presenza del lupo, e nulla più. Ora le casette nascono sulle discariche o sulle cave, è il segno dei tempi che cambiano, soprattutto in Campania. Ho letto da qualche parte una storiella, quasi fiabesca, di due bambini che dicono “Mamma, caccia via questa puzza” mentre in casa vengono fotografati (ad arte!!) con tanto di mascherina sulla bocca, mentre i genitori sono, senza alcuna protezione, dinnanzi a tre belle tazze di caffè. Parlo di una casetta sul ciglio della discarica “Sari” di Terzigno/1, una famiglia tipo con papà (finanziere), mamma e due figlioletti. Una bella storiella ottimamente raccontata. Una storia simile a quella verificatasi nei pressi della cava del monte Tubenna (vicino Salerno) diversi anni fa. Contro la cava e la continuazione dell’estrazione ci fu, all’epoca, una vera e propria rivolta di popolo. Tra i sostenitori più accaniti della rivolta c’era anche il proprietario di una casetta, situata sul margine alto della cava, che rischiava seriamente di essere raggiunta dallo scavo. Insomma il titolare della “casetta nel bosco” gridava e si dimenava più degli altri per quelle che ad una prima osservazione apparivano come motivazioni più che giuste. Poi qualcuno incominciò a chiedersi perché quella casa era stata costruita proprio lì e perché erano state date tutte le autorizzazioni necessarie. Dopo diverso tempo si scopri che le autorizzazioni erano state concesse per una sorta di deposito agricolo che l’interessato aveva trasformato in una “villetta nel bosco”. La protesta, ovviamente, era già da tempo finita. Certo è difficile oggi, accostare le due storie anche se un piccolo nesso tra loro lo evidenziano. I tempi sono cambiati, anche la location è diversa e soprattutto i soggetti in campo sono disomogenei. A Terzigno si fotografano i bambini con le mascherine sulla bocca per rendere la storia più appetibile e più commovente. Del resto,però, non ci si preoccupa. Il resto consiste nel fatto di capire perché quella casetta sorge a circa ottocento metri dalla bocca della discarica che esiste a Terzigno da molti decenni. Certo la discarica non funzionava più da anni ed è stata riaperta soltanto nel maggio 2009, ma la casa è stata comunque costruita in quel posto ben sapendo che la discarica c’era e come. La famiglia della favoletta potrà, ovviamente, dire che la puzza prima non c’era e che adesso purtroppo c’è. Ma credo che ciò sia un fatto marginale, che poco o nulla debba valere sul giudizio di merito per l’azione istituzionale e governativa diretta verso la risoluzione di un problema dallo spessore internazionale come quello dell’emergenza rifiuti nella nostra regione. Rimane una domanda lecita da rivolgere a chi ha rilasciato tutte le necessarie autorizzazioni a costruire proprio in quel posto la casetta dei sogni per due bambini: “Perché è stato consentito un simile scempio?”. La favola di Terzigno racconta in sintesi di una domenica a casa di una famiglia che vive a ridosso della discarica, una famiglia che vorrebbe trasferirsi ma che non riesce più a vendere la casa. Così come raccontata, la favola cerca palesemente ed artatamente di guidare il giudizio di merito sull’azione di governo verso un esito negativo, rischiando così di alimentare nuovi ritardi e nuove contestazioni. Soprattutto quando l’intervistatore chiede al piccolo Mattia se i carabinieri, in servizio d’ordine sulla discarica, sono buoni o cattivi. Domanda tanto incredibile quanto assurdo, a mio avviso. Meno male che il bambino, con la saggezza che contraddistingue quella felice età ha risposto: “Sono buoni come mio zio (lo zio è carabiniere!!), ma perché non ci aiutano a cacciare via questa puzza?”. Bella ma anche inquietante la risposta del bambino. Una considerazione finale mi è d’obbligo. Si possono certamente scrivere belle storie, ma dalle stesse per carità cerchiamo di tenere fuori i bambini.
Bravo! Ciò che mi piace del dott. Bianchini è che ben difficilmente parla il “politicamente corretto”. E di questi tempi, nei quali imperversa l’ovvietà e l’ipocrisia, se non la dabbenaggine, del “politicamente corretto”, gli articoli del dott. Bianchini, al di là delle opinioni espresse, condivisibili o meno, sono sempre da leggere.