L’ultimo romanzo di Ingenito edito da Gutenberg

Nembi intrisi di sangue: i mille intrighi amalfitani

di Annalisa Pontieri

 

 «Noi viviamo per morire, per una vita migliore. Voi morite senza avere mai vissuto».Questa è l’accusa che Ahmed Abu Shaat sputa in faccia al suo antagonista Gabriel O’Cronnelly; questa dovrebbe essere la giustificazione, non solo davanti al “nemico”, ma anche davanti al suo dio e a quello del suo contendente, per aver seminato morte intorno a sé nel falso nome di una religione. In realtà per esorcizzare i ricordi d’infanzia, quando il tradimento del più piccolo del suo branco – che già manifestava tendenze omosessuali – gli costò ben trenta frustate paterne. E’ da allora che in Ahmed si sono insinuati – ingigantendosi con gli anni e nonostante i successi personali – il disprezzo e l’odio più profondo per i “diversi”, qualunque disparità manifestino. Nel suo carnet di assassino comune, aspirante – senza riuscirci – terrorista,troviamo l’indifesa Sitti dallo Sri Lanka, domestica presso l’ambasciata siriana in Germania, uccisa a frustate; il giovane pescatore Giacomo di Vietri sul Mare; il sognatore Pinuccio; il diplomatico siriano Alì, marchiato da troppi difetti – oltremodo buono, per metà statunitense e soprattutto omosessuale, una colpa quest’ultima già di per sé meritevole di morte per Ahmed – ed infine la bellissima Rania – incredibile la somiglianza con la Valentina di Crepax – che per amore lo segue nelle sue follie restandone a sua volta finita.

Il teatro per eccellenza

La pazzesca utopia che Ahmed rincorre per tutte le pagine di Orizzonti di mezzanotte (Edizioni Gutenberg, pp. 648, € 25,00), ultimo romanzo di Michele Ingenito – professore di Lingua e Letteratura inglese all’Università di Salerno e giornalista parlamentare -, è un attentato in grado di rivaleggiare con quello alle Torri Gemelle; la vittima eccellente è il presidente del governo italiano. Il teatro scelto a tal fine è la stupenda Costiera amalfitana, che le descrizioni dell’autore –rivelando in questo una sensibilità inusuale in un genere come quello cui si allinea il Romanzo in questione – ci rendono ancora più cara. Così inseguendo il terrorista nel vortice degli intrighi, dei fantasiosi travestimenti e dei viaggi continui, anche il lettore può accomodarsi sul ricco yacht ad ammirare Postano, l’Isola dei Galli, l’elegante Capri e la catena montuosa del Capodorso.Non mancano notazioni di cultura culinaria, con vere e proprie descrizioni di piatti tipici, da ricordare soprattutto è la colatura di acciughe. Per chi non sapesse di cosa si tratta, vi invitiamo a ritrovare questo condimento speciale tra le pagine del romanzo.Per non parlare dei totani che sembrano avere un posto di riguardo, alcuni eventi risolutori accadono proprio durante la pesca di tali molluschi e a qualcuno, come al cosiddetto “Kaiser”, pescarli e cucinarli rivolta completamente la vita…

Un intrigo dopo… e dentro l’altro

Un romanzo che è una vera e propria matrioska, varie storie ad incastro, di cui non è subito svelata la funzione. E ci sono personaggi che sono meteore, non sempre. Hanno un ruolo risolutivo o irrinunciabile nel fluire dell’intreccio, e ci piace definirli come una sorta di pause, anche divertenti per il loro essere caricaturali, come isole, pure felici ed ingenue, nel loro vivere la vita così in modo spicciolo. Ci limitiamo ad accennare brevemente solo a due episodi narrati. La coppietta di sposini siciliani, Carmelo e Rosalia Caligiuri, in luna di miele,«Finalmente soli, dopo circa sette anni di fidanzamento coatto» e la scenata di gelosia di lei: Rosalia, di fronte allo smarrimento del marito rapito dalla bellezza travolgente di Rania, che gli ricorda i poster di nudi femminili irresistibili appesi nella sua officina, non può che sibilare, in tipico dialetto siciliano:«Grandissima bottàna!» Tipicamente di stampo napoletano è invece la storia del barista Ivano Divonati, un vecchio imbroglione analfabeta che in gioventù era riuscito a truffare mezza Napoli, spacciandosi a industriale del caffè fino ad intellettuale, accolto addirittura nell’élite culturale locale. Popolarissimo però lo era divenuto quando era riuscito a confezionare il terzo “pacco”, facendo credere a tutti di aver conseguito all’Università di Houston, in Texas, un master in Storia, cultura e allevamento delle razze bovine, ovine e suine del Mezzogiorno d’America, con una ricerca sul regime pensionistico per i «porci» ex-divi cinematografici di Hollywood. Così “sul campo” si era guadagnato anche l’incarico di insegnare questa disciplina particolarissima nella scuola media del suo quartiere, fino a quando gli stessi suoi allievi non l’avevano smascherato, tradito probabilmente dalla troppa stima per un animale come il maiale, che reputava addirittura superiore all’uomo per le sue virtù taumaturgiche nella cura del cosiddetto “fuoco di Sant’Antonio”.L’ironia delle due succitate storie convive in perfetto equilibrio con la gravità di tante altre – segnate dal dramma della Storia che si abbatte sui singoli – intrecciate al filone principale, e che molto spesso tendono anche a spiegare atteggiamenti e scelte di personaggi primari e secondari, un orientamento deterministico che dà un senso a follie e manie. Ecco un romanzo corale, ma la cui coralità si risolve alla fine nello scontro titanico tra le forze del bene e del male, uno scontro tradizionale ch si rianima in queste pagine, frutto di fantasia, ma che hanno trovato riscontro tragicamente nella realtà che viviamo.

Una o mezza verità

«Chi tradisce una volta, tradisce sempre», questa è la convinzione espressa in modo ricorrente nei dialoghi che Ahmed intrattiene con i suoi complici. Beffardamente sarà proprio l’ennesimo avverarsi di questa verità ad incastrarlo. Infatti Abdullah,l’uomo sfregiato che aveva tradito il suo benefattore Alì per schierarsi agli ordini di Ahmed inseguendo il sogno di una vita migliore, catturato dalla Cia “canterà” le informazioni utili a sventare i folli piani dell’aspirante terrorista.«In fondo, chi tradisce una volta , tradisce sempre! Non sarò io, ora, a tradire quella verità!» si ripete intimamente Addullah – ricordando le parole che un giorno il compagno gli aveva rivolto -, mentre si appresta a salvarsi, almeno crede, la pelle.Quando invece toccherà ad Ahmed, catturato a sua volta, decidere se collaborare o meno con i servizi segreti, agirà in agghiacciante coerenza con la sua vita: spirerà a mezzanotte in punto, penzolante da un cappio improvvisato con lenzuola intrecciate, lasciando al nemico un biglietto:«[…], nel giardino di Allah, continuerò a cercare i miei orizzonti. Se li riconoscerò, la mia morte non sarà stata vana. Sarà lì che ti aspetterò, nell’unico posto dove è possibile ancora sperare!»Messaggio enigmatico che porta a chiedersi se il disseminatore di morte infine sia stato carezzato dal dubbio del’errore, o se la speranza si riferisce ad un mondo convertito ad una sola fede. Ci piace pensare che in fondo anche la creatura più votata al male possa vivere un barlume di bontà e carità e rendersi conto delle proprie colpe o perlomeno che possano le sue certezze e le sue follie vacillare di fronte al mistero della morte.

Il vero epilogo

Non vogliamo svelare troppo, ma il romanzo ha una fine insospettabile e dolcissima, e due personaggi, Alberto e Virginia, che nell’economia della storia hanno già avuto un ruolo non secondario – visto che in una notte d’amore sono stati loro a scoprire il cadavere di Alì fatto occultare da Ahmed, ritrovamento che ha iniziato a sbriciolare il castello di intrighi e falsità costruito dal terrorista -, tornano nelle ultimissime pagine ad aiutare l’autore a rendere universale la storia narrata, sganciandola parimenti dal genere thriller – che le sta proprio stretto! – ed elevandola a metafora della vita. Se ci è concesso vorremmo concludere col piccolo gioiello incastonato nei passi finali del romanzo, che ci ricorda i momenti più alti della prosa di Liala:«Come al dolce tramonto estivo segue il brusco risveglio invernale, così, lenta e inevitabile, sfiora la ruga il pallido volto e vola la giovinezza verso l’ignara meta della vita!»

Annalisa Pontieri