Le divertenti follie della vita
Antonio Pirpan
Secondo me, quello che ci salva dalla nostra condizione di adulti, è la capacità di divertirci delle nostre follie, come di quelle altrui, e credo che cedere a qualche innocente tentazione, non significhi necessariamente essere un paranoico. A molti capita di appoggiare una conchiglia all’orecchio, anche se non hanno mai sentito il rumore del mare: lo fanno perché, da quando erano piccoli, qualcuno glielo avrà detto. Per il semplice fatto che a me piace solleticare i bambini sotto il mento, in famiglia mi dicono spesso di essere un paranoico, e ciò mi infastidisce, perché a furia di sentirlo dire, comincio ad avere forti dubbi sulla mia integrità mentale. Qualche notte fa, incoraggiato dalla pioggia che picchiettava sui vetri della finestra impedendomi di prendere sonno, ho fatto un rapido e sommario esame delle mie abitudini di vita e, a parte quella di ficcare il dito nella nicchia di un telefono a pagamento per vedere se qualcuno ha lasciato una moneta, finora mai trovata, non ho registrato altre fisime, come amorevolmente le chiama mia moglie. Almeno fino a quando mi sono addormentato. Al risveglio, ripensandoci a mente più lucida, ho fatto un ripasso sui miei comportamenti abituali e non ho riscontrato segnali evidenti di delirio emotivo. Mi piace immaginare che si tratti di peccatucci di curiosità, ovvero quel desiderio vivo e stravagante, a volte strano, di toccare tutto ciò che mi capita a portata di mano. Trovandomi in casa di amici, per esempio, non riesco a non accarezzare le piante per sapere se sono vere o false, e se in un angolo di una stanza adocchio un pianoforte, il primo impulso è di suonare un motivetto. In treno, al bar o in una qualsiasi sala di attesa, ho sempre il prurito di completare, se ci riesco, le parole crociate lasciate vuote da qualcun altro. A molti suonerà buffo, ma trovandomi in un’altra città, mi diverto sempre a cercare il mio cognome sull’elenco telefonico, e ci resto male quando non lo trovo, pur sapendo di essere fuori provincia, e se devo mangiare qualcosa non entro mai in un ristorante che espone il cartello “Cercasi cameriere”: è già molto difficile farsi servire in un ristorante che pensa di averne abbastanza. Ed ora scusatemi, devo rispondere al telefono che squilla con insistenza. Mentre dò uno strattone al nodo del filo, nella fallace speranza che si sciolga, scrivo “Pronto” sul vetro appannato della finestra (!) e raddrizzo un quadro appeso alla parete, che il vento ha spostato di mezzo centimetro. Per fortuna, mia moglie non è in casa.